Le leggende gastronomiche creano degli strani e imprevedibili nessi causa-effetto. Uno di questi lega la nomina di Gioacchino Murat a Re di Napoli, voluta dal cognato Napoleone Bonaparte nel 1808, alla produzione della ‘nduja calabrese.

Il collegamento in effetti può non sembrare immediato, ma il mito culinario narra che il sovrano, per ingraziarsi i ceti più poveri del regno, decise di regalare al popolo le andouille, insaccati di origine francese fatti con l’apparato digerente del maiale.

I calabresi, affascinati dalla ricetta, l’avrebbero riproposta contaminandola con ingredienti facilmente reperibili e che più incontravano i loro gusti: aggiunsero così al grasso, alla cotica e alle frattaglie di maiale, il peperoncino piccante, dando origine a quell’abbraccio rovente di sapori che è la ‘nduja, nel cui nome riecheggia il suono dell’insaccato francese. 

Dalla Francia si arriva così al Comune di Spilinga e dalla leggenda si atterra sull’altopiano del Poro, in provincia di Vibo Valentia, nella madrepatria della ‘nduja calabrese.

Qui l’impasto e il processo di produzione sono rigorosi: 70% di maiale e di 30% peperoncino che colora l’insaccato di rosso fuoco e dà al salume proprietà antiossidanti. Per gli amanti delle statistiche: su un quintale si calcola il 29% di sale marino fino. Come tanti cibi della nostra tradizione anche la ‘nduja nasce come un prodotto di recupero, fatto con le parti meno nobili dell’animale: interiora, trippa e polmoni. Oggi però non si usano gli scarti: guanciale, sottopancia, pancetta, spalla, coscia.

Nella produzione di questo insaccato nulla è lasciato a caso. I maiali devono avere almeno 20 mesi, pesare tra i 30 e i 40 chili ed essere nutriti con una dieta a base di cereali. Mentre il peperoncino è soprattutto il Tri Pizzi, autoctono del Poro, che prende il nome dalla tipica forma a tre punte. Questo viene tritato e congelato in apposite celle fino a 18 mesi, possibilmente crudo (anche se alcuni lo fanno bollire).

Carni e peperoncino vengono impastate, infilato nel budello cieco e legate con spago alimentari. Il tutto si fa affumicare con legno di acacia, quercia e ulivo e poi stagionare dai 3 ai 6 mesi. Il risultato è un insaccato morbido, piccante e aromatico, anche se insaccato sarebbe riduttivo: la ‘nduja è un ingrediente in grado di dare il boost a qualsiasi ricetta: si può spalmare sul pane, aggiungere al soffritto, ci si condisce la pizza, si può trovare nei formaggi o nelle frittate.

Se siete nei pressi di Spilinga, ecco qui la nostra top three di aziende agricole e salumifici in cui acquistare la regina degli insaccati calabresi:

  • AZIENDA AGRICOLA "SUA MAESTA IL PORCO"

  • A NDUJA MICELI

  • SALUMIFICIO ARTIGIANALE SPILINGESE

  • NDUJA SAN DONATO

Testo a cura di Gian Mario Bachetti