Che lo vogliate chiamare arancino o arancina,
che sia ripieno di ragù con i piselli o di mozzarella, prosciutto a
besciamella, che segua le ricette più tradizionali o le nuove rielaborazioni,
questo piatto è uno dei simboli culinari della cucina siciliana, tra le
invenzioni più succulente della gastronomia italiana e una hit nella playlist dello street food mondiale. Ma le certezze, purtroppo o per fortuna, terminano qui e quello dell’arancina/o è uno dei cold-case più interessanti della storia culinaria, uno dei suoi enigmi più indecifrabili.

 I misteri iniziano già dal nome di questo piatto a base di riso ripieno impanato e fritto. Ormai è appurato che a Palermo e nella zona occidentale dell’isola si preparano, ordinano e mangiano arancine, al femminile. A Catania e
nella parte orientale si gustano invece arancini, al maschile. La mappa sembrerebbe definita, ma non mancano le eccezioni, perché
a Ragusa e Siracusa è diffusa la versione arancina, di imprinting palermitano.

Etimologicamente è facilmente riconducibile al
termine arancia, con cui questo
piatto condivide (a volte, ma lo vedremo dopo) la forma e (sicuramente) il
colore, con addirittura la superficie della panatura dorata che anche al tatto
ricorda le ghiandole presenti sulla buccia del frutto. Anche secondo
l’Accademia della Crusca il parallelismo con l’arancia farebbe propendere al
nome femminile, ma ancora una volta dobbiamo procedere con cautela a caccia di
altri indizi. Il siciliano infatti, a differenza dell’italiano, ha ereditato
dal latino il genere maschile per i frutti (ma con la u finale), il femminile per gli alberi. Cosa che ci porterebbe a
dire che arancino, per la prova del
DNA con la lingua siciliana, è la
versione più corretta. Siamo di nuovo al punto di partenza.

 Anche la forma varia in base al nome: se ordinate un’arancina vi verrà servita una palla di riso croccante, una sfera
del diametro 8-10 centimetri, se ordinate un arancino invece una sorta di piramide, un cono, che la tradizione fa risalire alla forma dell’Etna, alle cui pendici sorge, non a caso, Catania. C’è anche chi sostiene che la metafora sia
ancora più plastica quando, stringendo tra le mani un arancino, si morde la sua
cima e dal cono mozzato esce fuori il vapore del ripieno caldo, proprio come
quando il vulcano si sveglia dal torpore. 

Qui l’impasto e il processo di produzione sono rigorosi: 70% di maiale e di 30% peperoncino che colora l’insaccato di rosso fuoco e dà al salume proprietà antiossidanti. Per gli amanti delle statistiche: su un quintale si calcola il 29% di sale marino fino. Come tanti cibi della nostra tradizione anche la ‘nduja nasce come un prodotto di recupero, fatto con le parti meno nobili dell’animale: interiora, trippa e polmoni. Oggi però non si usano gli scarti: guanciale, sottopancia, pancetta, spalla, coscia.

La sua storia è avvolta nel mistero,
nonostante come spesso accada nella storia culinaria del Bel Paese, non mancano
leggende e ricostruzioni di parte.

 Per molti la ricetta dell’arancino/a sarebbe da datare intorno all’anno Mille, nel periodo della dominazione mussulmana in Sicilia. Il cuoco Muhammad al-Baghdadi, in un ricettario del 1226, descrive una
polpetta di carne di montone immersa nell’uovo sbattuto e fritta proprio a ricordare un’arancia, una Nāranjīya. Un’altra ricetta araba prevedeva invece che si appallottolasse nel palmo una
piccola quantità di riso, zafferano e carne d’agnello per mangiarla
direttamente dalla mano, abitudine che si era diffusa anche nell’isola. Nel Liber de ferculis et condimentis di Giambonino da Cremona, una raccolta trecentesca di specialità arabe, torna molto spesso l’associazione tra la forma dei cibi e la frutta: albicocche, datteri, nocciole e ovviamente - soprattutto in Sicilia - arance. A confermare la tesi: l’invenzione della panatura viene spesso fatta risalire a Federico II di Svevia che nelle battute di caccia o nei lunghi viaggi, portava con sé cibi che, impanati e fritti, erano più facili da trasportare. Facendo due più due, pur non avendo fonti scritte che lo confermino, la ricetta potrebbe avere queste origini. Il riso d’altronde è arrivato in Italia proprio intorno all’anno mille e proprio grazie
agli arabi, il che sarebbe un’ulteriore punto a favore dell’origine medievale
della ricetta, anche se nei primi tempi questo alimento veniva usato
soprattutto come spezia. Queste però sono solo prove indiziarie e non
possiamo confermare contro ogni
ragionevole dubbio
l’origine della ricetta.

 

Tra l’altro, da qui, l’arancino/a è molto
bravo a latitare e fa perdere le sue tracce. Anche il riso scompare dal Sud
Italia per diventare un alimento - e un prodotto - tipicamente del Nord.

Per risalire a una fonte scritta che
testimonia l’esistenza dell’arancina/o - arancini per l’esattezza - dobbiamo aspettare il 1857 e il Dizionario
siciliano-italiano
di Giuseppe Biundi, ma purtroppo per noi si parla di un dolce: “una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”. Difficile ipotizzare una coetanea versione salata come la conosciamo
oggi, anche perché il pomodoro si diffuse in Sicilia solo successivamente. Un’altro testimone che possiamo interrogare
per fare chiarezza è un’indagine ISTAT del 1950 sui consumi di riso in Italia e che alla voce Sicilia fa registrare un inquietante zero. Dato che trova parziale conferma nei colloqui qualitativi della stessa ricerca: uno dei siciliani intervistati sostiene infatti di aver
mangiato riso solo in ospedale. Sembra impossibile che una ricetta così gustosa e a base di riso fosse diffusa in un periodo in cui la sua materia prima era poco (o per nulla) consumata e comunque associata al non stare in salute. Forse questo caso non avrà mai una soluzione, ma a noi non crea troppi problemi manomettere la scena del delitto con le dita unte e la bocca sporca di ragù e besciamella, andando a caccia dei più gustosi, gonfi e oleosi arancin* dell’isola. E se anche voi siete alla ricerca di qualche prova per risolvere il caso, possiamo dirvi dove scovare le migliori arancine di Palermo e i migliori arancini di Catania:

PALERMO

  • BAR TOURING

  • BAR VABRES

  • SCATASSA

  • PASTICCERIA OSCAR 1965

  • BAR TURISTICO ALL'ACQUASANTA

  • BAR ALBA

CATANIA

  • PASTICCERIA SAVIA

  • SALUMERIA SCOLLO

  • CAFFE' EUROPA

  • PASTICCERIA PRIVITERA

Testo a cura di Gian Mario Bachetti